EFF 2019: IL SAGGIO DI PAOLA BRUNETTA


DI SUONI E DI IMMAGINI CHE AMPLIANO IL NOSTRO SGUARDO: UNA RASSEGNA

 

Ampliare lo sguardo. Far riflettere, far pensare. Allargare gli orizzonti. E sfidare le convenzioni, il già noto, il già acquisito. E’ questo che dovrebbe fare l’arte, la buona arte. Ed è questo che fanno i film riusciti, di conseguenza. Anche quando sono corti. E anche quando sono opere prime, o quasi. E non è (solo) una questione estetica, di sperimentazione stilistica. Certo, se questa c’è il film vola, nel proporre nuove “visioni”; ma la visione è innanzitutto etica, ed è questo che conta. Nuove idee, nuovi modi di vedere e di pensare. Nuovi punti di vista.

Ci è capitato di recente di vedere, all’Edera Film Festival, dei cortometraggi che hanno fatto proprio questo: sperimentare. Linguaggio, idee, contenuti. Ed è questo che ci ha spinto a scriverne, guidati dal filo del suono per cui ogni film sarà accostato a un brano significativo, per associazione libera. Film diversi l’uno dall’altro; alcuni influenzati da autori già affermati, altri più originali; alcuni basati su un’idea forte, altri più legati all’atmosfera che creano. Procederemo per paragrafi, per cui…

  1. O Menino que Morava no Som di Felipe Soares, Brasile 2019. Da assaporare con Caetano Veloso, The Empty Boat.

Opera seconda di Felipe Soares, artista trentenne che lavora a Recife, dopo il corto Autofagia che si occupava, nel 2016, del dramma delle uccisioni dei transessuali nell’entroterra brasiliano, il film è uno dei più sperimentali e poetici di questa selezione. Il protagonista è un ragazzino sordo che vive in una grande città brasiliana e deve arrangiarsi da solo, poiché la madre non accetta il suo handicap ed è troppo impegnata con il figlio piccolo, e il padre non è presente; lo vediamo bighellonare per la città e giocare a calcio con gli amici, che non comprende quando gli parlano; e lo vediamo ad un certo punto trovare magicamente, in una discarica, un casco color arancio che gli permette di sentire ma… Quando finalmente può farlo, i rumori e i suoni che ascolta sono dirompenti in negativo, tra clacson, urla, apparecchiature mediche per malati terminali e gli spari della polizia sui manifestanti… Per cui il casco viene infine abbandonato e le orecchie vengono tappate disperatamente dalle mani, anche se il regista ci ha mostrato, con le urla di dolore di una partoriente, la nuova vita che nasce e con le urla di un esorcista in piena attività, il suono di un flauto che un uomo dedica al suo amante per compensare “il tuo silenzio nel mio corpo”. Perché il film è costellato di immagini diverse, è una rapsodia di immagini della città e della vita, l’amore, il gioco, la metropoli con i suoi ingorghi ma anche il mare e ancora il mare, le auto, gli animali sgozzati e mangiati, immondizia, povertà e morte insieme alla vita che sorge. Suoni disarticolati, musica sperimentale e spezzata come frammentata è la narrazione, campi lunghissimi e riprese aeree ma anche primi piani e dettagli, e il volto del protagonista sempre più disorientato quando i suoni del mondo riesce tristemente a sentirli… Accenni, non teoremi. Con i colori sfumati della vita vera.

  1. Inanimate di Lucia Bulgheroni, Regno Unito 2018. Da scoprire con Björk, Frosti.

Di vita vera gronda anche il corto di animazione, girato in stop motion, Inanimate di Lucia Bulgheroni, giovane italiana di stanza a Londra, amante di Kaufman e Burton e delle riflessioni di tipo esistenziale; ma di vita intesa in senso, appunto, filosofico e psicologico, perché la protagonista autobiografica si trova improvvisamente a vedere la realtà in modo diverso dal solito in quanto cominciano a succederle strani episodi (si sta lavando i denti e viene catapultata in metropolitana, da lì vola fino ad un supermercato, il suo ragazzo appare e il momento dopo scompare), e man mano si rende conto che… è finta, fatta di plastica come molte delle cose che la circondano, anzi è fatta, costruita da qualcuno che si vede in sovrimpressione sullo schermo… tanto che ad un certo punto possiamo vedere (noi spettatori, ma in qualche modo anche lei) tutto lo studio di animazione, con i set e le persone che ci lavorano dietro e dentro, con i loro pupazzi… e lei nelle mani della sua creatrice umana, che però poi la riposiziona nella casa dove tutto è cominciato, con il ragazzo che la aiuta a rialzarsi… per cui per lei tutto è a posto, è stato solo un malore o un brutto sogno, mentre noi abbiamo visto il metacinema e la finzione e ci interroghiamo su quanto sia vera la nostra vita, e su quanto non potrebbe essere così anche per noi, di essere creati, mossi e poi fatti morire da qualcuno che non conosciamo, come tanta fantascienza mostra. Terzo classificato alla Cinéfondation di Cannes nel 2018, vincitore del premio della giuria ad Annecy e ai BAFTA di Los Angeles, è un’opera prima pregna di pathos e di magia, di tenerezza e di amore per la vita.

  1. 100% Pur Porc di Émilie Janin, Francia 2018. Da gustare con The Who, Boris the Spider.

La vita, qui, è invece quella di una giovane operaia che prepara insaccati e che ha nei loro confronti un’attenzione particolare, tanto da contrassegnarli, quando li porta a casa e li appende al soffitto, con un nastro o un oggetto o una scritta che li distingua, così che il lavoro che svolge permea completamente, e felicemente, di sé la sua vita solitaria ma piena. Il problema arriva quando il principale le ordina di aumentare il ritmo per migliorare la produttività e il lavoro che prima era un piacere comincia a diventare per lei qualcosa di stressante e sterile, che la porta a vendicarsi in un modo tremendo ma geniale… in tema suino. Al di là della storia e del suo evidente significato sociale e psicologico, il film si distingue per il brio e l’ironia che mette in campo, per il ritmo incalzante (Janin, alla sua opera prima, è innanzitutto una montatrice), per le trovate mai banali (il capo urlante come personaggio animato, le salsicce che diventano fiori in una serra magica e colorata) e il tono tendente al burlesque, per i risvolti sessuali sottesi al contenuto e a molte immagini e poi per la bravura della protagonista (Madeleine Baudot), per la fotografia precisamente definita e per la scenografia kitsch, dai colori pastello, condita da una musica stucchevole prima e punkeggiante poi, con la Bye bye et merciiii patronnnnn (che richiama il documentario di François Ruffin) scritta dalla regista con Quentin Pignon e cantata dalla stessa Baudot.

  1. The Forest di Lia Tsalta, Grecia 2018. Da studiare con Regina Spektor, Another Town.

Altrettanto originale se si eccettua la conclusione piuttosto scontata, l’opera prima The Forest ci porta in un futuro prossimo in cui la natura è completamente scomparsa e tutto è costruzione artificiale; per cui i turisti (qui un gruppo scortato da una guida impassibile e professionale) vengono portati ad ammirare gli ultimi esemplari di piante custodite in un museo e in un centro commerciale, l’ultima specie di uccelli sopravvissuta perché può prescindere dalla natura, i piccioni, la terra di una collinetta brulla su cui fare la classica foto di gruppo e, dulcis in fundo, un vero bosco, l’ultimo rimasto al mondo, che i turisti raggiungono a ritmo di musica (A Lesson for the Future, Farewell to the Old Ways di Murcof) en ralenti ma in cui una bambina morirà per la puntura di una vespa. Lo stile è quello netto e preciso (e surreale/ iperrealistico e crudele) di Lanthimos, ma un riferimento certo (a proposito di piccioni…) è il mondo, anzi i mondi chiusi in loro stessi, di Roy Andersson; linearità, nettezza e precisione ne caratterizzano le architetture interne, come la scenografia; la recitazione è strettamente funzionale alla narrazione e ci parla di un’umanità alienata e corrotta, inquadrata e noiosa, priva di ogni iniziativa e spirito critico. Depauperata.

  1. Delivery Service di Vladimir Koptsev ed Elena Koptseva, Russia 2019. Da sorseggiare con Kristeen Young, Life’s Not Short, It’s Sooo Long.

L’opera prima dei coniugi Koptsev ha uno stile completamente diverso dalla precedente: riprese più “sporche”, realismo, ambienti normali o squallidi, poesia del quotidiano. Idee, sostanza. E significati a sorreggerle. A partire da una suggestione: che i corrieri non consegnino più (o solo) pacchi alle persone, ma emozioni e ricordi. Interpretati dagli addetti alle consegne, in modo assolutamente professionale. Abbiamo così la donna anziana a cui viene permesso di rivedere per qualche istante, interpretato dal corriere, il nipote che non incontra da molto tempo e che le canta la canzoncina della sua infanzia, la giovane donna incinta che può rivedere l’amante che forse l’ha lasciata, il reduce che può rincontrare la giovane recluta con cui ha combattuto e che ora è morta… e, sorpresa finale, sarà lo stesso addetto alle consegne che abbiamo seguito per tutto il film nei suoi travestimenti sobri a ricevere un “pacco regalo” amoroso, a dire che forse anche lui ha un’amante lontana o che lo ha lasciato o che addirittura è morta… E parlando di realismo andiamo a due film che sono definiti sia short che documentary, perché stanno a metà strada tra le due categorie.

  1. La buona novella di Sebastiano Luca Insinga, Italia 2018. Da guardare con Ismaël Lô, Khar.

Sebastiano Luca Insinga, che è innanzitutto un fotografo, con questo film fa quello che ha fatto Loznitsa con Austerlitz: fermare la camera per filmare quello che accade davanti ad essa, nella fattispecie le persone che visitano Auschwitz e che hanno tutte le caratteristiche, nel bene e nel male, dei turisti che visitano ogni anno una qualunque località o attrazione. Senza nessuna comprensione, né rispetto, di ciò che quel luogo rappresenta. Qui la situazione è diversa, ma simile: in una spiaggia della Sicilia è approdata una barca di migranti che sia chiama Bochra, “letizia” (colei che porta “la buona novella”, che al di là dei riferimenti evangelici è anche il titolo di un album di De André), ed è rimasta ancorata, vuota, sulla riva; Insinga ha dichiarato di aver sentito, quando l’ha vista, “il peso del suo viaggio” e “il dolore del suo abbandono”, come se gli avesse chiesto di raccontare la sua storia; e così ha piazzato la camera su un piedistallo e ha aspettato che qualcuno a quella barca si avvicinasse, i turisti appunto, che entrano ed escono dall’inquadratura fissa in campo lungo con le loro reazioni a volte incredule (la barca lì collocata ha qualcosa di magico, sicuramente di misterioso), a volte indifferenti, a volte incuriosite e con le immancabili foto, dell’esterno e (i più coraggiosi) dell’interno, con stacchi neri e i titoli dei capitoli a intervallare le sequenze. Fino al finale in cui vediamo i migranti uscire dalla barca, in un flash-back fotografico che mostra tutta la loro gioia per essere arrivati in un paese che chissà cosa potrà riservare loro; e in cui le didascalie ci parlano delle morti nel Mediterraneo, sulla musica divina di Jóhann Jóhannsson.

  1. Prisoner of Society di Rati Tsiteladze, Georgia 2018. Da affiancare a The Dø, W.O.J.

Punk, punk e ancora punk. Spiazzante, forte, dirompente. Energia pura. Energia però in realtà compressa, perché la protagonista Adelina, che è nata George, nella Georgia di oggi non può veramente vivere ed è quindi costretta a casa da dieci anni (al tempo del film ne ha ventisei), come se fosse agli arresti domiciliari. L’opera, il cui rapporto d’aspetto è 1,33:1 per cui l’effetto è quello del super 8, mostra prima la protagonista per frammenti in piani soprattutto ravvicinati (lo shampoo, la torta sul tavolino con il cane e le sue gambe sullo sfondo, la cucina e il divano), per poi farci avvicinare ad essa sia con inquadrature folgoranti a mezzo busto di lei che balla o che guarda in macchina con un’intensità davvero cinematografica, sia con i capitoli Madre, Padre, Adelina e Family, quest’ultimo un totale della famiglia sul divano che discute, a camera fissa, della difficile accettazione, per i genitori, della transessualità della figlia. Il tutto alternato ad immagini di manifestazioni di piazza, a mostrare come in Georgia il cammino nella direzione dei diritti dell’uomo sia ancora tortuoso e a fornire, con il film, un modo originale di affrontarne la denuncia.

 

Paola Brunetta 

Data di stesura: Settembre 2019